lunedì 12 febbraio 2007

Facciamo il DICO?

In Italia si procede a piccoli passi, quando si procede.
I DI.CO ((Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) ne sono un esempio lampante.
Non si potevano chiamare Pacs, qui. Poi chi si mandava a dirlo al Papa e alla sua allegra combriccola? Mastella?
E allora si è scelto Di.Co., cacofonia pura per mascherare dei Pacs all'italiana da veri Pacs, quelli che ci sono in tutta Europa.

Immaginatevi la scena. Un ragazzo, accompagnato da un immenso senso di vergogna, si avvicina alla sua ragazza, con cui convive da anni e le dice: "Facciamo il DICO?".
I più penserebbero a una pratica sessuale importata dall'Oriente o a un rito di digiuno e astinenza ispirato a qualche religione scintoista.
Invece è molto peggio.
Si tratta di una dichiarazione CONTESTUALE di convivenza. Contestuale nel senso che congiunta non andava bene, troppo vicina a una cosa come il matrimonio, e un matrimonio tra due persone che convivono, magari dello stesso sesso, avrebbe scatenato almeno almeno un tripudio di micette.
E allora se la convivenza la si dichiara contestualmente, nel contesto di quello che è il sano e sacro matrimonio, la cosa può funzionare, è tutta un'altra storia, chiaro?
Bene.
Quindi, escludiamo il fatto che i due conviventi possano recarsi insieme all'anagrafe a dichiarare di convivere felicemente da almeno 3 anni, sancendo così in un batter d'occhio il famigerato Di.Co.
Sarebbe assurdo e inconcepibile, dai.
C'è il pericolo che i due conviventi la vedano come una cerimonia vera e propria, con parenti, amici, colleghi, pioggia di riso e lancio di bouquet.
Vedendo scene del genere, Fini potrebbe trovare la forza di divorziare per la seconda o terza volta.
Ed ecco la logica di questo simpatico disegno di legge.
I due conviventi, consci del rischio che si corre nel dichiarare tale stato, si recano all'anagrafe con due dichiarazioni differenti, si incolonnano in due file diverse, cercano di farsi capire da due impiegati diversi, che dopo aver capito la questione timbrano le due dichiarazioni con due timbri diversi, bevono due caffè diversi, le memorizzano su due computer e su due database diversi. Fatto questo, i due, in preda al più totale panico da burocrazia, escono da due porte diverse e lontane. Ogni lanciatore di riso si sentirà scoraggiato nel dover lanciare il riso a due persone diverse in due momenti e luoghi diversi.
La famiglia è così salva.

C'è poi un'altra questione che merita di essere analizzata.
I Di.Co. prevedono la possibilità che solamente uno dei due partner possa fare la sua dichiarazione contestuale di convivenza per i fatti suoi con il solo obbligo di "darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente".
A pensarci bene è semplicemente geniale.
Uno dei due conviventi esce per fare la spesa, e così, passando davanti al Comune, decide di fare la sua dichiarazione di convivenza, ad insaputa del proprio partner.
Passano un paio di giorni e l'altro, mentre sta guardando la videocassetta nella quale ha registrato accuratamente il Processo di Biscardi, riceve una raccomandata dal proprio convivente che lo/la informa che da almeno tre anni sta convivendo con lui/lei. (si sa per certo che il Processo di Biscardi è visto da uomini e donne in egual misura).
Sollevato dal fatto che ci voleva una raccomandata affettiva per capire che la persona con cui si vive da anni è il proprio convivente, il destinatario della raccomandata si renderà orribilmente conto, che d'ora in poi ha l'obbligo degli alimenti.
Non c'è nulla di più geniale.

sheenafabio